La terapia con Apparecchi Dentali è indicata per pazienti con russamento semplice o apnea lieve che non rispondono o non sono candidati appropriati alle misure di comportamento come perdita di peso o cambiamento della posizione nel sonno; per pazienti con apnea ostruttiva moderata che siano intolleranti o rifiutino il trattamento CPAP o gli interventi chirurgici sia adeno-tonsillare che maxillo-facciale.
Nei casi di OSAS grave si deve inizialmente tentare di risolvere il problema con la terapia CPAP, che al momento è considerata la misura più efficace in tutto il mondo, e solo in caso di fallimento si può provare a passare ad un’altra terapia.
Come funzionano gli apparecchi dentali?
Questi apparecchi prevengono il russamento e l’apnea ostruttiva agendo direttamente sul meccanismo che li produce, spingendo la mandibola in avanti durante la notte. Questo spostamento trascina avanti anche la lingua, l’epiglottide e il velo del palato (l’ugola) e mantiene così aperte le vie aeree.Gli apparecchi dentali sono utili per tutti i pazienti?
L’efficacia di questi apparecchi dipende da diversi fattori: la gravità del disturbo del sonno, il peso corporeo, la conformazione dello scheletro facciale, l’anatomia delle vie aeree e la personale tolleranza di ogni paziente all’apparecchio.
Inoltre sono importanti la storia clinica (malattie in corso o pregresse), il fumo di sigaretta e il consumo di alcoolici.
Tutti questi fattori devono essere individuati con attenzione prima di iniziare qualsiasi terapia.
In genere, come spiegato più sopra, gli apparecchi dentali vengono prescritti per il russamento semplice o per forme lievi di OSAS.
L’uso degli apparecchi dentali è semplice, non invasivo, reversibile e poco costoso, e può continuare per tutta la vita.
La terapia funziona sempre?
Le percentuali di successo dipendono dai diversi fattori già descritti, ma per il russamento e l’apnea lieve si arriva sino al 90% di successi (russamento abolito o ridotto a livelli accettabili, mentre per le apnee si rimane nella fascia di quelle fisiologiche).
Chi può applicare gli apparecchi dentali?
E’ importante che vengano applicati da un dentista che ha una formazione specifica , perchè: è essenziale che venga ricercata la presenza di Apnea Ostruttiva del Sonno,prima di inserire dispositivi orali va fatta una valutazione completa dei denti, del parodonto ( gengiva e tessuti di sostegno del dente) e delle articolazioni della mandibola,la comparsa di eventuali effetti indesiderati va controllata con attenzione.
E’ fondamentale che il paziente che porta questi apparecchi venga visitato periodicamente e la posizione dei denti controllata e confrontata con i modelli della bocca realizzati ad inizio cura.
Tutti gli apparecchi destinati alla cura del russamento, agiscono portando avanti la mandibola durante la notte.
I dispositivi si differenziano tra loro per il tipo di meccanismo di avanzamento, la forma e il materiale. E’ possibile scegliere per ogni paziente il modello di apparecchio che garantisca la maggiore efficacia e la massima tollerabilità, considerando con attenzione le caratteristiche individuali.
L’uso dell’apparecchio dentale può creare dei problemi?
Grazie agli apparecchi di ultima generazione sono stati molto ridotti i disturbi transitori segnalati nel tempo quali salivazione abbondante, bocca secca,fastidio ai denti o ai muscoli masticatori, disturbi che spariscono comunque dopo le prime settimane d’uso.
I problemi a lungo termine sono rari.
Sono stati osservati cambiamenti della posizione della mandibola e piccoli spostamenti dei denti, cambiamenti di cui il paziente non ne è consapevole.
Ci sono delle controindicazioni?
Questi apparecchi non devono essere usati da pazienti che soffrono di epilessia mal controllata.
I pazienti devono avere denti in numero sufficiente a supportare l’apparecchio (di solito almeno 8-10 denti per arcata).
Chi utilizza l’apparecchio dentale non deve avere patologie gravi delle gengive e dei tessuti di sostegno dei denti (parodontite avanzata).
Elenco Dentisti Certificati:
Elenco Medici Odontoiatri certificati SIMSO
È possibile pensare all’esistenza di un disturbo del sonno quando il paziente lamenta un tempo di addormentamento superiore a 30 minuti, quando si risveglia durante la notte per più di 30 minuti e quando l’intero sonno dura meno di 6 ore e 30 minuti. (continua qui)
Presso l’Hotellerie Du Cheval Blanc, l’A.I.P.A.S.-ONLUS in collaborazione con i Rotary Club di Aosta e Courmayeur-Valdigne, organizza il convegno:
“NON DORMIAMOCI SOPRA! OSAS, PATOLOGIA SILENTE, RUMOROSA”.
Apnee Ostruttive del Sonno
Le due immagini qui accanto, mostrano esattamente quale sia la situazione in presenza di un’apnea durante il sonno.
La faringe è la sede dell’ostruzione delle vie aeree superiori durante il sonno nell’OSAS. In generale un cambiamento patologico o una variante normale che restringa le vie aeree superiori da svegli predispone ad apnee o ipopnee ostruttive durante il sonno.
L’obesità è il singolo fattore predisponente più comune, tuttavia i pazienti con OSAS possono avere altri fattori che contribuiscono al restringimento delle vie aeree, come una lingua grossa, tonsille ingrandite, l’aumento del tessuto lasso in faringe o la mandibola retroposizionata (mandibola sfuggente) .
Durante l’inspirazione la pressione dell’aria in faringe è inferiore a quella atmosferica e le dimensioni del lume della faringe dipendono dall’equilibrio tra le forza di restringimento, che risulta dalla pressione di suzione e la forza dilatante, generata da piccoli muscoli inseriti sulle vie aeree superiori, che si contraggono durante ciascuna inspirazione e normalmente stabilizzano la parete molle della faringe.
All’inizio del sonno si verificano la riduzione dell’area del lume faringeo e la riduzione dell’attività dei muscoli delle vie aeree superiori, amplificate entrambe in caso di OSAS. Anche fattori legati alle mucose di superficie possono influenzare l’apertura delle vie aeree, soprattutto nei soggetti con le mucose infiammate a
causa di traumi ripetuti e dalla perdita di sensibilità che ne risulta. Ciascuna apnea o ipopnea termina con un risveglio, che si accompagna con l’aumento brusco della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
In molti individui l’aumento della pressione arteriosa persiste per giorni e si accompagna all’aumento del rischio di sviluppare patologia cardiovascolare e ictus.
Oggi per la cura delle OSAS, vi sono diverse possibilità terapeutiche, ovvero: Terapia Ventilatoria (CPAP/ APAP/ BILEVEL), terapia Odontoiatrica (MAD), Chirurgia Otorinolaringoiatrica (FLP), Chirurgia Maxillo-Facciale (Avanzamento Mandibolare Chirurgico).
Qual’è la corretta via diagnostica da seguire?
La sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno (OSAS) è definita come una interruzione del flusso respiratorio della durata di almeno 10 secondi a causa della transitoria ostruzione delle vie aeree superiori (vestibolo nasale, nasofaringe, orofaringe, ipofaringe), in presenza di uno sforzo ventilatorio toracico ed addominale mantenuto per tutta la durata dell’episodio. Per ipopnea si intende invece una transitoria riduzione del flusso respiratorio tale da causare una significativa ipossiemia.
I criteri adottati per la definizione di ipopnea sono diversi.
Comunemente si considerano significative una riduzione del flusso ventilatorio superiore al 50% rispetto ai valori di base per una durata di almeno 10 secondi e/o una riduzione dell’ossiemoglobina superiore al 4%.
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS), è una condizione caratterizzata da 5 o più episodi di apnea per ogni ora di sonno (indice di apnea) o da un numero di apnee e ipopnee superiore a 10 episodi per ogni ora di sonno (indice di apnea/ipopnea).
Il disturbo è estremamente frequente dal momento che sembra riguardare dal 10 al 30% della popolazione.
I soggetti affetti da OSAS, a causa della cattiva qualità del sonno caratterizzato da russamento intermittente e frequenti risvegli, manifestano una serie di problemi in grado di interferire con la loro vita di relazione, quali la eccessiva sonnolenza diurna, la diminuzione delle performance lavorative, diminuizione della capacita’ di concentrazione.
Non mancano inoltre le problematiche di interesse neurologico.
Oltre alle frequenti cefalee mattutine, ai disturbi del tono dell’umore ed ai deficit cognitivi, caratterizzati essenzialmente da deficit di memoria, è stato ormai dimostrato che la sindrome delle apnee notturne rappresenta un fattore di rischio in- dipendente di ictus cerebrale.
Diversi studi hanno evidenziato che un elevato numero di pazienti con storia recente di ictus o attacco ischemico transitorio può presentare episodi di OSA.
Le varie ricerche riportate in letteratura sono sempre concordi nel dimostrare che le OSA sono significativamente più frequenti nei pazienti affetti da patologie cerebrovascolari rispetto a soggetti di controllo della stessa età e con fattori di rischio vascolare comparabili, indicando una prevalenza del disturbo tra il 62% e l’80%. In alcuni studi, è stato anche suggerito che la presenza di OSA possa avere un impatto negativo sulla prognosi funzionale a breve termine.
Problematiche aperte
Come scritto in precedenza, i dati derivanti dalle varie indagini effettuate per verificare la presenza di una possibile associazione tra OSA e malattie cerebrovascolari hanno suggerito la possibilità che esista una relazione tra le due condizioni.
Tuttavia rimangono ancora numerose problematiche irrisolte sul tipo di legame fisiopatogenetico che unisce il disturbo del sonno con la malattia cerebrovascolare.
Un aspetto particolarmente controverso riguarda il fatto che l’alta prevalenza delle OSA nei pazienti affetti da stroke possa essere interpretata non solo come prova di una maggiore suscettibilità a di- sturbi della circolazione cerebrale in presenza di alterazioni del respiro notturno, ma anche, al contrario, come possibilità che le stesse lesioni cerebrovascolari possano indurre anomalie del respiro durante il sonno.
Tuttavia, questo problema interpretativo sembra essere, almeno parzialmente, superato dai risultati di alcuni studi di controllo che hanno dimostrato che in pazienti affetti da russamento e OSA, il rischio relativo di stroke è significativamente più alto rispetto a quello di soggetti con sonno normale.
Tale condizione di aumentato rischio appare ancora evidente dopo la correzione per i fattori di rischio vascolare associati.
Questo tipo di relazione è ulteriormente rafforzato dal risultato di studi prospettici che hanno dimostrato un aumento della probabilità di andare incontro ad un evento cerebrovascolare ischemico in presenza di russamento notturno e di incremento della durata del sonno associata a sonnolenza diurna, considerate come suggestive della presenza di OSAS.
Il secondo problema aperto riguarda la possibilità che l’alta frequenza con cui l’OSAS si manifesta in associazione con lo stroke possa essere semplicemente basata sul fatto che entrambi i disturbi si manifestano frequentemente in pazienti che presentano fattori di rischio vascolare come alcune cardiopatie, l’obesità, l’ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta e una storia di abuso etilico.
In altre parole, esiste un ragionevole dubbio che OSA e stroke, più che condizioni legate da un meccanismo di causa-effetto, possano più semplicemente considerarsi come condizioni di comorbidità.
In realtà, quest’ultimo concetto sembra essere confutato dai risultati degli studi citati in precedenza che hanno dimostrato che i disturbi del respiro correlati al sonno rappresentano fattori di rischio cerebrovascolare indipendentemente dalla coesistenza di altre condizioni che possono incrementare il rischio vascolare.
È stato anche rilevato come la associazione tra disturbi del sonno e ipertensione sia in grado di incrementare ulteriormente il rischio di stroke.
Una evidenza indiretta a supporto dell’ipotesi che i disturbi del respiro correlati al sonno rappresentino un fattore di rischio indipendente per malattia cerebrovascolare, deriva da studi che hanno dimostrato che l’ OSA si associa a modificazioni fisiopatologiche, sia a breve che a lungo termine, in grado di poter spiegare la genesi dell’insorgenza di disturbi cerebrovascolari, che per lo più regrediscono o scompaiono dopo terapia con ventilazione continua a pressione positiva ( NCPAP).
Meccanismi patogenetici a breve termine
Molti studi hanno mostrato che durante le apnee notturne si verificano varie modificazioni metaboliche, cardiologiche ed emoreologiche che possono avere un ruolo importante nel determinare e precipitare i disturbi cerebrovascolari.
In coincidenza con gli episodi di apnea, soprattutto al momento della ripresa della ventilazione, si verificano aumenti significativi della pressione arteriosa sistemica.
La ridotta saturazione di ossigeno e l’aumento dell’acidosi, l’elevata attività del sistema simpatico e lo sforzo ventilatorio, sono alcuni dei meccanismi coinvolti nell’aumento della pressione arteriosa sistemica.
La grave accentuazione dell’aritmia sinusale che può accompagnare l’episodio di apnea associata all’ipossiemia, possono indurre disturbi di condu- zione ed aritmie maligne.
È possibile pertanto che, durante gli episodi apnoici, la riduzione della pressione parziale di O2, le aritmie cardiache, le oscillazioni della pressione arteriosa possono indurre scompensi circolatori in pazienti suscettibili.
In aggiunta, l’elevazione dei livelli ematici di catecolamine e l’iperattività del sistema nervoso simpatico possono portare, oltre che all’incremento dei valori pressori, anche ad una modificazione dell’attività piastrinica responsabile di una accentuazione della viscosità ematica.
Queste modificazioni di attività piastrinica sono significativamente più marcate nei pazienti affetti da OSAS.
Oltre a questi effetti sono state descritte fluttuazioni della pressione di perfusione cerebrale.
Più specificamente, durante gli episodi di apnea, l’aumento della pressione intratoracica determina un ostacolo al deflusso venoso cerebrale che a sua volta può provocare l’aumento della pressione intracranica con conseguente riduzione della pressione di perfusione cerebrale.
Altri studi hanno dimostrato nei pazienti affetti da OSAS la presenza di anomalie dei meccanismi di autoregolazione cerebrovascolare.